Alessandro Bulgini, parabordi in Housing Giulia (2016) © Carlo Toso

 

Aver visto che La Freccia (rivista delle Ferrovie dello Stato) ha dedicato nel suo numero di febbraio un articolo di Cesare Biasini Selvaggi al nostro Distretto è stata una bella e molto gradita sorpresa. Per tutti coloro che non hanno avuto occasione di viaggiare sui Frecciarossa nel mese scorso, o che comunque non lo abbiano letto, riportiamo con piacere questo articolo.

 

Questo mese raccontiamo una bella storia d’amore, dove l’arte esprime la bellezza della solidarietà, l’amore al servizio del prossimo che non smette mai di sorprenderci.

La nostra storia ci conduce dritti in Piemonte, nel cuore di Torino, in un’ampia porzione urbanistica che unisce il centro storico della città alla prima periferia multiculturale. Siamo nel “miglio del sociale” sabaudo, un unicum europeo. Entriamo nel Distretto sociale Baroloattivo dal 1823, tra via Cigna e via Cottolengo, con 14 edifici e altrettanti enti impegnati ogni anno a dare risposte concrete a 20mila persone tra donne, famiglie e adolescenti fragili. Dall’Ufficio pastorale migranti della diocesi all’ambulatorio medico Camminare insieme, dalla Casa Cilla per le famiglie con bambini in cura all’ospedale Regina Margherita all’Housing Giulia, che ospita nuclei in difficoltà abitativa, è un polo di prossimità nel quale trovare, oltre all’accoglienza, la possibilità di ridiseghttp://www.migrantitorino.it/nare il proprio futuro per una nuova opportunità di vita. In un luogo bello, a partire dai suoi giardini.

«Non solo tutti abbiamo diritto alla bellezza, ma possiamo produrla, nelle nostre relazioni, nella qualità del nostro lavoro, nelle nostre vite». Con queste parole mi accoglie a Housing Giulia l’avvocato Luciano Marocco, presidente dell’Opera Barolo, istituzione che dal 1864 custodisce il patrimonio dei valori e della visione di Giulia Colbert e Carlo Tancredi Falletti, ultimi marchesi di Barolo, grandi e visionari innovatori, entrambi venerabili della Chiesa tra i santi sociali per cui Torino è nota.

Nel varcare l’ingresso della struttura, il mio pensiero corre alla marchesa di Barolo e a quanto la celebre nobildonna e filantropa, imparentata con Luigi XVI e il celebre ministro del re Sole, Jean-Baptiste Colbert, sarebbe orgogliosa di sapere che oggi, a distanza di due secoli, il luogo che aveva voluto come rifugio per le giovani donne uscite dal carcere ha saputo mantenere viva la sua vocazione all’accoglienza. Questa struttura è infatti un progetto di housing sociale nato nel 2016, e ospita lavoratori fuori sede, cittadini temporanei, migranti, famiglie che hanno perso la casa e studenti. Molti arrivano qui in profonda difficoltà e sono seguiti con percorsi di accompagnamento, per ritrovarsi e trovare il proprio posto nel mondo. Ma chi non è in difficoltà oggi giorno? E chi non ha da dare e ricevere dall’altro?

Quando si entra in questo complesso di tremila mq, composto da 48 appartamenti, fortemente voluto dall’Opera Barolo, si rimane subito colpiti dalla quiete, dalla serenità che si respira, dall’operosità delle persone immerse in spazi che esprimono il valore della relazione, del senso della bellezza. L’immenso wall painting dal titolo Rhythm & Form dell’artista britannico David Tremlett, realizzato in collaborazione con Ferruccio Dotta e gli studenti dell’Accademia Albertina, dà subito il benvenuto agli ospiti abbracciando le parti comuni e accompagnandoli lungo tutti i corridoi di accesso alle singole abitazioni.

David Tremlett insieme a Ferruccio Dotta e agli studenti dell’Accademia Albertina, Rhythm & Form, wall-painting in Housing Giulia (2015) © Enrico Scarsi

Sempre negli appartamenti e in alcune aree comuni sono presenti anche lavori di artisti “irregolari”, provenienti dall’archivio Mai visti e parte della collezione dell’Opera Barolo che, nel 2015, ha costituito il Polo delle arti relazionali e irregolari per valorizzare le discipline di confine, fuori dal sistema per scelta o per esclusione sociale.

Su uno dei terrazzi, poi, svettano i volti umani realizzati in rete metallica di Pueblo, una delle prime opere di Edoardo Tresoldi. Non mancano nemmeno gli interventi artistici temporanei, come i parabordi dipinti da Alessandro Bulgini, per circa un anno installati in collaborazione con gli stessi inquilini sulle finestre delle loro unità abitative, evocando così l’idea di protezione, solidarietà, eguaglianza e abbattimento delle distanze, tutti valori che Housing Giulia fa propri quotidianamente.

Qui, oltre a dipinti, sculture e installazioni, l’arte vive pure attraverso collaborazioni con istituzioni culturali, per esempio con il Museo del cinema, il festival MiTo, il progetto Dance well e il Social Community Theatre Centre.

Social Community Theatre Centre, Caravan Next Torino-Saving the beauty (2016) © Stefano Spessa

«Parafrasando Giuseppe Bencivenni Pelli, direttore degli Uffizi nella seconda metà del XVIII secolo, Giulia Colbert affermava: “Portate tutti nella bellezza, affinché sappiano specchiarsi, riconoscersi e riprodurla nella vita”. Ecco, negli spazi di Housing Giulia rendiamo concreto questo messaggio antesignano di quello che oggi chiamiamo welfare culturale», spiega l’avvocato Marocco.

E aggiunge: «Mai come in questo momento abbiamo bisogno dell’arte. Non solo per lenire le ferite più profonde di questi tempi feroci, ma anche per sentirci connessi agli altri. Siamo animali sociali. È la relazione con l’altro che ci rende unici e irripetibili. Ne abbiamo bisogno tutti, anche e soprattutto le persone più fragili, per sviluppare l’immaginazione, pensare e co-creare insieme un futuro desiderabile». In un grande laboratorio sociale come Housing Giulia, con i suoi spazi da vivere e dove sperimentare nuovi modelli abitativi e nuove grammatiche di convivenza, «incontrando processi artistici che diventano acceleratori di cambiamento, facilitando le relazioni tra gli abitanti della struttura e quelli del territorio in cui è inserita», prosegue il presidente dell’Opera Barolo.

Pensando a quante storie belle, di solidarietà e accoglienza, abbia incontrato negli anni, gli chiedo di raccontarci un aneddoto tra i tanti. «Le note di Ezio Bosso, scomparso pochi mesi fa. Dagli esordi della sua patologia, nel 2011, aveva scelto di abitare a Palazzo Barolo, in residenza d’artista, e ha sempre accompagnato i progetti sociali del nostro ente. Molte persone non avevano mai sentito il suono di un pianoforte. Mi tornano alla mente gli sguardi dei bambini trascinati dalla sua musica. Indimenticabili».

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