Proteggere le persone o difendere i confini? È la questione che il Festival dell’Accoglienza di Torino nel dibattito del 29 settembre 2023 ha posto alla giornalista Letizia Tortello, al giurista Luca Masera, allo studioso di migrazioni Gianfranco Schiavone, al sacerdote Francesco Loprete e al responsabile di ong Abdelfattah Mohamed. La risposta, scaturita dall’intenso confronto – fitto di dati, analisi, testimonianze-, lascia poco spazio all’incertezza: da tempo – ed ora con crescente intensità – la politica migratoria dell’Italia, anche in sintonia con altri Paesi, vede prevalere la dimensione securitaria.
L’idea di fondo che sostiene questo approccio è che le migrazioni costituiscono soprattutto una emergenza di ordine pubblico da fronteggiare con strumenti di eccezione. Si tratta di una lettura semplificata della realtà che trascura – o peggio rimuove- tanto la dimensione epocale del fenomeno che la molteplicità delle sue cause. Si pensi ai flussi migratori che dall’Africa attraverso il mar Mediterraneo raggiungono l’Europa. Riesce davvero difficile ignorare la correlazione esistente tra tali flussi ed il primato che il continente a noi più vicino detiene in tema di conflitti armati, fragilità democratiche, crisi climatiche, povertà, ineguaglianze, deficit di nutrizione ed assistenza sanitaria. Ed è altrettanto ragionevole pensare che l’intervento su questi fattori endemici esige un enorme impegno: politiche lungimiranti di inclusione, rapporti equi tra nord e sud – ed ovest ed est – del mondo, strategie di breve, medio e lungo periodo.
Ma, se questa complessità viene accantonata e se della migrazione viene messo a fuoco unicamente l’arrivo – quasi sempre con modalità caotiche – di moltitudini di persone di cultura, lingua, religione, condizione sociale ed economica diverse, la difesa dei confini nazionali finisce per diventare una sorta di trincea: l’imperativo prioritario, è quello di opporsi al pericolo di invasione e di sostituzione etnica.
Come ben spiegato dall’incontro, i costi di questa risposta si rivelano già molto alti. Così si persegue l’obbiettivo di trattenere i migranti al di fuori delle (e lontano dalle) frontiere dell’Unione europea, stipulando accordi con Paesi terzi di dubbia o nulla affidabilità. Senonché, oltre alla discutibile legittimità di tali accordi, è un fatto che la loro applicazione provoca conclamate e massicce violazioni del diritto alla vita, alla integrità fisica e morale, alla libertà ed alla dignità dei migranti. Parimenti preoccupante è la progressiva severità della disciplina riservata alle Ong che si dedicano al doveroso salvataggio dei migranti nel Mediterraneo. Caricaturalmente descritte come taxi del mare, la loro azione viene non poco ridotta da vincoli di vario genere. Peraltro tanto il numero dei migranti che attraversano il mare come quello di coloro che vi periscono continuano ad aumentare drammaticamente, trovando così smentita la facile rappresentazione delle Ong quale pull factor (fattore di attrazione) della migrazione. Rimane senza risposta la domanda di quante vite esse potrebbero salvare se fosse loro consentito di operare in una cornice normativa più attenta al destino delle persone.
Dunque e innanzitutto costi in termini di sofferenza umana. Ma non solo, perché, come di nuovo segnalato con chiarezza nell’incontro, vi si aggiunge l’erosione dell’universalità dei diritti, valore essenziale per la democrazia. Una volta riusciti a giungere sul nostro territorio, ai migranti in attesa di identificazione vengono infatti imposte limitazioni alla libertà che- per le disagevoli modalità, i lunghi tempi e le limitate garanzie- si presentano ben più pesanti di quelle previste per i cittadini ed in frizione con i principi della Costituzione e delle Carte internazionali dei diritti. L’ultimo tassello di questa regressione del diritto d’asilo è dato dalla recentissima previsione di una cauzione da pagare da parte dei migranti che vogliano evitare il trattenimento identificativo. Si tratta di misura che, in forza dell’elevato importo richiesto e della quasi inaccessibile forma di pagamento, è verosimilmente destinata a non avere alcuna applicazione. Peraltro, ancorché inefficace essa contribuisce comunque a consolidare quell’immagine di migrante radicalmente estraneo – e financo pericoloso -acui occorre rendere difficile l’arrivo e la permanenza in Italia anche con oneri patrimoniali esorbitanti ed irragionevoli.
L’ultimo contributo ,non meno importante, offerto dall’incontro dello scorso 29 settembre, è il richiamo ai nessi tra risposta securitaria alla migrazione, fragilità del nostro Paese, affievolimento del diritto di asilo e contrazione delle libertà per tutti: spunti da approfondire da parte di coloro che abbiano a cuore la civile e solidale convivenza.
(Alberto Perduca su “La voce e il tempo” 8/10/2023)