“Perché loro sono dentro e noi fuori?”
Se lo domandava la marchesa Giulia di Barolo guardando le detenute delle carceri torinesi: nel 160° anniversario della nascita della Venerabile, una Messa e una tavola rotonda sulla scuola in carcere.
Al mattino del 19 gennaio alle 9.00 sarà celebrata la Messa nella chiesa di Santa Giulia per ricordare la morte della Marchesa, mentre alle 17 Palazzo Barolo, in via delle Orfane 7/A, ospiterà il primo di un ciclo di sei incontri sulle tematiche del carcere, organizzati dall’Opera Barolo in collaborazione con il settimanale diocesano La Voce e Il Tempo.
Nel primo appuntamento, dedicato alla “scuola in carcere”, sarà presentato il libro E-mail a una professoressa. Come la scuola può battere le mafie, scritto da Marina Lomunno, caporedattrice de La Voce e il Tempo, e dal francescano Giuseppe Giunti.
Insieme agli autori interverranno monsignor Roberto Repole, arcivescovo di Torino e presidente dell’Opera Barolo, la scrittrice Margherita Oggero, Elena Lombardi Vallauri, direttore della Casa circondariale torinese «Lorusso e Cutugno», Emma Avezzù, procuratore dei Minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta, Monica Cristina Gallo, garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Città di Torino, e Arturo Soprano, presidente emerito della Corte d’Appello di Torino e membro del Consiglio d’Amministrazione dell’Opera Barolo. L’incontro sarà moderato da Marco Bonatti, giornalista e responsabile della Comunicazione della Commissione diocesana per la Sindone.
Il 160° anniversario di Giulia di Barolo
Nel 2024 ricorre il centosessantesimo anniversario della morte della marchesa Giulia Falletti di Barolo, il cui impegno in campo sociale è iniziato proprio prestando attenzione alla condizione delle donne recluse nelle carceri della Torino del suo tempo e che, nel 1823, l’ha spinta a istituire il Rifugio: un luogo per ospitare e offrire assistenza alle donne che, una volta scontata la pena, lasciavano il carcere per tornare libere in una società dove da ex detenute e senza alcun aiuto, reinserirsi per vivere una vita onesta e dignitosa risultava un’impresa ardua, se non impossibile.
Quel Rifugio è stato il primo nucleo di quel complesso che nel tempo è divenuto il Distretto sociale Barolo: una vera e propria cittadella dell’accoglienza dove oggi operano 17 realtà del “sociale” che, quotidianamente, garantiscono servizi fondamentali a donne in difficoltà, giovani fragili, detenuti, migranti e persone che vivono in condizione di marginalità. Un sostegno fornito in varie forme che, tradotto in numeri, assicura ogni anno aiuti per 15mila persone, mille famiglie e quasi 2mila tra adolescenti e bambini.