Con un gruppo di amici della Unità Pastorale 3 di Torino, abbiamo avviato una esperienza di accoglienza di una famiglia di profughi arrivata in Italia con i corridoi umanitari.
In breve, tramite i corridoi umanitari a cui facciamo riferimento arrivano in Italia persone, in genere nuclei familiari, provenienti da alcuni campi profughi (in Libano, a Cipro, a Lesbo, ed in diverse altre località). Sono persone che, per diversi motivi, hanno deciso o sono state costrette ad abbandonare la propria terra e le proprie case in cerca di nuove occasioni di vita. Questi corridoi sono istituiti con un accordo formale tra alcuni enti religiosi e il governo italiano (nello specifico i Ministeri degli Interni e degli Esteri) e garantiscono un ingresso legale e sicuro in Italia. Legale perché i documenti e la situazione della famiglia è valutata prima della partenza dai campi profughi, sicuro perché il viaggio avviene in aereo e quindi evitando i trafficanti di uomini e i pericoli della traversata del Mediterraneo sui barconi o della rotta balcanica. Al loro arrivo, di solito a Fiumicino, presentano domanda di asilo e vengono accoliti dal gruppo disponibile per questa accoglienza. Il corridoio è stato percorso ed inizia l’avventura in Italia, un percorso verso l’autonomia. Il gruppo di accoglienza provvede ad ogni necessità almeno nei primi tempi, ma soprattutto offre calore umano, vicinanza e solidarietà.
Fin da subito, nel prepararci a questo tipo di accoglienza, abbiamo capito che sarebbe stato importante creare una rete di persone coinvolte: tanti sono gli aspetti da curare per questa accoglienza, tante le competenze su cui contare, non ultima una certa disponibilità economica (infatti non contiamo su contributi pubblici ma solo sulla nostra autotassazione). Inoltre, sebbene l’apertura del cuore e della mente siano presupposti fondamentali, poiché si ha a che fare con persone in difficoltà e per un lungo periodo di tempo, occorre formarsi con costanza per dare basi di conoscenza e motivazioni robuste a questa nostra iniziativa.
Quindi abbiamo dedicato il nostro primo anno di attività al percorso di tessitura della rete e di formazione. Per questo abbiamo avuto il validissimo sostegno di molti amici che stavano già vivendo l’esperienza della accoglienza (per imparare da loro a vedere le situazioni nella giusta prospettiva, ad adottare i modi giusti per accogliere senza essere invadenti), poi siamo entrati in relazione con la Pastorale Migranti della nostra Diocesi (una fonte inesauribile di aiuto e competenze, di grande utilità la partecipazione all’annuale Festival della Accoglienza) ed infine l’associazione Famiglie Accoglienti (una bella realtà, ricca di esperienze e di generosità).
Ad ottobre 2022 è giunta da noi una prima (per ora unica) famiglia ed è iniziata la quotidianità di un rapporto di familiarità e di sostegno. Gli aspetti da curare sono tanti: dalla conoscenza della lingua e cultura italiana alla abitazione, dalla spesa al mercato alle bollette, dai documenti (permesso di soggiorno, residenza, SSN, …) all’abbigliamento, dalla ricerca di un lavoro al supporto per la scuola delle figlie.
Inizialmente avevamo pensato (così ci era stato detto, avevamo letto su un libro e su alcuni articoli pubblicati) che il nostro impegno più diretto sarebbe stato di un paio di anni o poco più, poi la famiglia avrebbe proseguito in autonomia, pur con il naturale supporto della relazione di amicizia instaurata. La situazione particolare a cui ci siamo trovati di fronte ha modificato profondamente i nostri piani iniziali e ci prospetta un percorso ben più lungo. Vedendo la situazione di precarietà, ascoltando la storia pregressa di questa famiglia (nel pieno rispetto del detto e non detto), siamo convinti di questo nostro impegno prolungato. Ancor più constatando l’impegno che questa famiglia mette nell’inserimento in questo nostro territorio così diverso da quello natio (vengono dall’Africa) e vedendo i confortanti risultati già raggiunti.
Tante cose abbiamo imparato, a partire da cosa vuol dire accogliere le persone prima dei loro bisogni (anche se poi ai bisogni occorre dare una risposta) con il rispetto e la dignità che sono loro dovuti come persone. Di due cose siamo convinti, sulla base di questa nostra esperienza, da un lato l’importanza di fare rete, una rete di persone che collaborano condividendo stile ed obiettivi, d’altro lato l’importanza del percorso di formazione che motivi e concretizzi questo nostro agire. “Il bene bisogna farlo bene” ci ha detto un amico di grande saggezza.
Giovanni e Monica