L’attrice e autrice Roberta Biagiarelli © Marcos Dorneles
Sullo schermo del teatro di via Balbo, a Chieri, scorrono volti di bambini. Se sorridono è con serietà. Può sembrare un ossimoro. Non lo è: quei bambini, fotografati in bianco e nero da Luigi Ottani, fuggono con le loro famiglie, genitori fratelli e sorelle, dal Medio Oriente martoriato. È il 2015. Il tempo di un esodo biblico: due milioni di persone sono scappate dalla Siria l’anno prima. Il regime di Bashar al-Assad ha trasformato il paese in un immenso mattatoio con il sostegno della Russia. Tutta quella povera gente si è rifugiata in Turchia, accolta in campi profughi improvvisati dove tirare a campare significa sopravvivere a stento.
Sono in tanti a riprendere il cammino. La meta è il Nord Europa. Grandi città come Stoccolma e Londra, Berlino e Parigi. Dove i profughi sono stati preceduti da parenti e amici. Si mettono in viaggio anche dall’Afghanistan e dal Pakistan. Tutti quei bambini – chi sulle spalle dei padri, chi mano nella mano delle madri, tanti raggruppati intorno a ragazzi più grandi, teste che spuntano dietro altre – sono i protagonisti del rendering (‘interpretazione’ in italiano, ndr) cui ha dato parole di sentimenti forti l’autrice e attrice Roberta Biagiarelli con la collaborazione di Duccio Facchini, direttore della rivista indipendente Altreconomia per uno degli ultimi appuntamenti del Festival dell’Accoglienza 2022.
Roberta sale sul palco per raccontare il suo, di cammino, che la porta al confine fra Macedonia e Grecia, in quel 2015 in cui fiumi di uomini e donne, di bambini, soprattutto, si riversano dai treni su altri treni per risalire l’Europa, ma sono costretti a proseguire il loro viaggio diventando camminanti in lunghe file da cui i volti di ciascuno emergono appena da strati di abiti sbattuti dal vento. Lo si intuisce da come tutti ne stringono i bordi nelle mani. La macchina fotografica di Roberta li segue. Compare il sole e i bambini riappaiono bambini, e non come piccoli fantasmi avvolti in vecchi giacconi più grandi di loro. Quei bambini aggrappati ai genitori sono il segno di tutte le ingiustizie di questo mondo ricadute su di loro.
“Dove sono finiti?”, chiede una voce dal buio del teatro. “Non era ancora tempo dei muri spuntati dopo sulla rotta balcanica”, risponde Roberta. “L’Europa fu sorpresa da un esodo che ricordava quello biblico. E i confini erano porosi. I gendarmi bloccavano le persone ma le file si ricomponevano e le persone potevano riprendere il cammino. Penso proprio che gran parte di quei bambini, insieme alle loro famiglie (c’erano anche nonni) raggiunsero l’Europa. Sappiamo che la Merkel ne accolse in Germania oltre un milione, con tutti i problemi che ne conseguirono poi. Per quanto mi riguarda, sono rimasta in contatto con la decina di giovani che mi hanno aiutata a completare questo spettacolo. Ci scriviamo, ci telefoniamo. So che lavorano o studiano tutti. Sono nuovi cittadini europei anche se la maggior parte non ha la cittadinanza”.
E’ un fuori programma allo spettacolo Concertina 22, il filo d’acciaio zincato, cosiddetto dai fabbricanti “d’alta sicurezza” perché l’hanno perfezionato saldandovi una “corona” di lame di 22 millimetri di spessore: dopo il 2015 è stato steso, nella sua forma elicoidale, “a fisarmonica”, un po’ ovunque sulla rotta balcanica, gradualmente diversificatasi in tante rotte balcaniche per le persone che cercavano di superare quei rotoli di concertina.
Roberta ne impugna in una mano, necessariamente guantata, una trentina di centimetri che, per la flessibilità del tipo di acciaio in cui la concertina è stata ricavata, sembra una falce lucida ed è una falce, per lo meno è stata concepita per lo stesso uso. Con una differenza: “Serve a tagliare la carne”. La carne delle persone che provano a scavalcarla e a passare oltre l’ennesimo confine. Che è stato moltiplicato anche dentro gli stessi paesi, da una regione all’altra, unicamente per intrappolare le persone in cammino in piccole sacche di territori impervi, più poveri e poco abitati allo scopo di scoraggiarne i propositi fiaccandone la determinazione a proseguire. Così fra confini invisibili – se non per la presenza di rotoli di concertina innalzati per metri e metri e stesi orizzontalmente per chilometri che sembrano infiniti – sono spuntati, altra invenzione di un gergo tecnico particolarmente perverso, “i campi informali” di concentramento di vite che si vorrebbero a perdere.
“La politica europea – denuncia Duccio Facchini, direttore di Altreconomia – dopo il 2015 ha concepito una strategia di respingimenti di massa basata sull’esternalizzazione dei confini dell’Unione Europea, rifissati centinaia di chilometri prima che le persone in cammino possano incontrare quelli veri, se riescono ad arrivarci vicino. Frontex è l’agenzia dell’UE che finanzia questa politica e il successivo confinamento di tutti quei fuggiaschi in quei campi informali che rappresentano la vergogna di noi europei, insieme con il blocco navale che, sempre con l’impegno finanziario di Frontex e dei governi italiani in particolare, si attua nel Mediterraneo davanti alle coste libiche, con i droni che individuano le imbarcazioni dei migranti e le segnalano alle motovedette donate dal nostro paese alla guardia costiera libica. Dal 2016 al 2021 centomila persone sono state risospinte dal mare nei lager libici”.
“Nel frattempo altre 25 mila persone sono morte annegate nel cercare di raggiungere via mare le coste dell’Europa”. Quante, invece, di freddo, fame, sete, stanchezza sono cadute lungo le rotte balcaniche, ricorrendo al gergo militare per definire le vittime delle guerre: anche questo cammino incontra una guerra non dichiarata ai migranti che scappano a loro volta dalle bombe a grappolo sganciate dagli elicotteri russi in Siria e dalle improvvise raffiche dei kalashnikov impugnati dai talebani afgani contro i diversi da loro in un altro ennesimo paese martoriato dalla continua violenza.
“Scappano le guerre” dice Roberta coniando un neologismo per il suo rendering che si addentra nella “genesi” della concertina 22, “visto che l’informazione non la racconta”, altro tema del suo lavoro: “La brevettarono in America per cintare immensi pascoli per gli allevamenti delle mucche, 1864 il tempo di quell’invenzione. Con la prima guerra mondiale concertina 22 compare in Europa a rinforzare le trincee con le sue lame esterne. E, dal 2015, eccone il nuovo uso ad alta sicurezza contro i camminanti.”
Roberta racconta: “Nel 2015 ne ho acquistato cento metri a 28,99 euro, recapitatimi in una ciambella di cartone. Non vendevano confezioni con meno concertina. Nei tre successivi anni il prezzo è triplicato, cercate su Amazon il riscontro.” Su Amazon il “prodotto”, oggi, non è disponibile, forse c’entra la vergogna di essere “diventato una cupa impronta di questo secolo con il passaggio dal confinamento di animali a quello di persone”, sostiene Roberta. Certo è che il prezzo è schizzato ulteriormente verso l’alto: 135 euro e rotti per “soli” sessanta metri del rotolo minimo. Sufficienti per un muretto.
“Come batte forte il cuore” dice ad un certo punto del suo rendering Roberta. Batte forte anche nel petto degli spettatori quando sullo schermo compare, di spalle, il corpicino di Alan Kurdi, bimbo del Kurdistan siriano di soli tre anni. Piccino piccino per come, a suo tempo, è apparso al mondo fotografato senza più vita dopo essere stato spinto, come un relitto qualsiasi, sulla riva di una spiaggia turca, non lontano da quella da cui il suo viaggio era ripartito con papà e mamma. La sua storia è entrata in tutte le case e ha annichilito tutti. Per un breve tempo si sono zittite le voci che urlavano “la pacchia è finita”.
Voci di vecchi ministri che sono tornati ad essere ministri. Duccio accusa: “Vedrete che i migranti torneranno ad essere argomento di distrazione di massa di una politica che, contro di loro, si nutre di atti illegali, come le cosiddette riammissioni informali dal nostro confine verso la Slovenia e oltre. Un indirizzo dettato da una circolare firmata dal prefetto Matteo Piantedosi, allora capo gabinetto di Salvini ministro dell’Interno e ora direttamente lui ministro dell’Interno nel nuovo governo. Quella circolare è diventata illegale dopo le sentenze del Tribunale di Roma che ne hanno bocciato la forma e la sostanza.”
Duccio ha scritto con Luca Rondi una “inchiesta sul campo” si legge sulla controcopertina del loro libro intitolato Respinti: si avvale dei contributi anche di altri, di ONG e associazioni di volontariato. Gli autori hanno scortato persone in cammino lungo le rotte balcaniche per un pezzo di strada. C’è stato chi si è spinto sul confine d’Europa più dimenticato, quello fra Bielorussia e Polonia, i cui gendarmi si palleggiano le persone intrappolate in quei boschi di confine come fossero l’oggetto dello sport più popolare al mondo: calcioni e via nell’altra metacampo, il confine che non è più confine, ma quello spazio che separava le trincee nella prima guerra mondiale del Novecento: dove si moriva senza poter tornare indietro. A pagina 32 del volume leggiamo:
Vi sono anche dei bambini fra quelle migliaia di adulti trattati con eguale perfidia nelle foreste del profondo est europeo e molto più a sud, oltre il confine d’Europa esternalizzato sulle coste libiche, con il loro retroterra di lager, spuntati un po’ ovunque perché diventati fonte di reddito per aguzzini che hanno affinato le tecniche della tortura fisica e psicologica, prima, sotto una feroce dittatura e, poi, durante la guerra civile per liberarsene.
Respinti. Le “sporche frontiere” d’Europa, dai Balcani al Mediterraneo ricostruisce l’intera storia dell’incarico ai libici a partire dal Governo Berlusconi e approda al suo ultimo sviluppo: il Memorandum d’intesa sulla cooperazione, “firmato a Roma il 2 febbraio 2017 dall’allora Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni […] nel campo della cooperazione per il contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato di Libia e la Repubblica Italiana” (pag. 94).
Gli autori del libro sottolineano: “Negli 8 articoli del Memorandum, mai discusso o votato dal Parlamento, la parola diritti compare una sola volta”, laddove si fa riferimento – articolo 5 del Memorandum – “al rispetto degli obblighi internazionali e degli accordi sui diritti umani di cui i due paesi siano parte”. Duccio Facchini e Luca Rondi si chiedono quali trattati di questo genere abbia mai firmato la Libia di Gheddafi e dei suoi successori.
I governanti italiani che hanno sottoscritto il Memorandum e i loro successori, sino agli ultimi che adesso, a novembre, si apprestano a rinnovarlo erano e sono consapevoli che una tale formulazione offre una scappatoia ai libici e indirettamente all’Italia che non vi si oppone?
E poi qual è la frontiera fra l’Italia e la Libia se non il Mediterraneo? Per renderla sicura l’Italia ha speso sinora più di 100 milioni di euro in mezzi navali, tecnologie sofisticate, supporto alla Guardia Marina Libica.
Secondo ActionAid gli investimenti complessivi italiani in Africa per contenervi l’emigrazione sono stati di 1,3 miliardi fra il 2015 e il 2020. Per Fondazione Migrantes i finanziamenti ammontano a 666 milioni e la metà sono stati finalizzati al controllo dei confini.
Rinnovare il Memorandum significa rifinanziare questa “cooperazione allo sviluppo” per altre decine di milioni di euro, contro cui Duccio invita alla mobilitazione: “Stiamo organizzando una manifestazione a Roma.”
Il rendering si chiude su questo impegno concreto.
Poco prima, nei suoi rimandi, simbolici e non, alla memoria, Roberta ha ricordato anche la storia di un adolescente maliano di 14 anni annegato nel Mediterraneo. Un ragazzo il cui corpo fu restituito dal mare. Il primo rilievo autoptico ne stabilì l’età approssimativa. Nient’altro: nessun nome, nessun cognome. Poi, si cercò pietosamente nei suoi abiti e da una tasca cucita nell’interno della giacca consumata si estrasse una pagella scolastica, con i voti riportati sia in arabo sia in francese. Bei voti.
Il ragazzo o più probabilmente la madre, chissà, l’aveva ripiegata con cura in quella tasca segreta perché lui potesse mostrarla, una volta approdato in Italia, per provare la sua buona volontà.
E’ una storia particolarmente dura da dirigere questa, di un quattordicenne affogato con le sue referenze scolastiche cucite sul petto.
Scorrendo il web si scopre una lieve scia di iniziative per onorarne le memoria, si scoprono pure autentiche soperchierie di gente priva di vergogna. Ma si scopre anche un progetto che Duccio ricorda nella ultime sue parole nel teatro di Chieri. Si intitola “Pagella in tasca”, di cui anche il nostro Ufficio è sostenitore. E’ stato pensato per portare in sicurezza in Italia ragazzi dall’Africa con “canali sicuri” e consentire loro di studiare qui da noi e di costruirsi un futuro che ne rispetti la dignità di persone, onori la memoria del loro coetaneo del quale purtroppo la vita si è perduta in fondo al mare.
Testo di Alberto Gaino