E’ di questi giorni  l’importante sentenza della Corte costituzionale[1] in materia di rinnovo del permesso di lavoro per cittadini stranieri. La Corte, che nel sistema italiano è chiamata a verificare l’aderenza delle leggi alla Costituzione,  ha ritenuto illegittima (e perciò non più applicabile) la disciplina che fa discendere in modo automatico il divieto di tale rinnovo dall’esser stato il richiedente condannato per una coppia di non gravi reati.

Nel giugno 2022 la questione era stata portata all’attenzione del Giudice costituzionale  dal Consiglio di Stato, chiamato a decidere se bene avessero fatto  i Questori e i Tribunali ammnistrativi – di Liguria e Lombardia –  a rifiutare il rinnovo a due cittadini stranieri per il solo fatto di esser stati condannati anni prima, l’uno per illecita detenzione e cessione di pochi grammi di hashish e l’altro per vendita di prodotti con segni contraffatti. Il rifiuto si era fondato su due disposizioni del Testo Unico sull’Immigrazione[2] che appunto escludevano tout court il rinnovo del permesso a seguito della condanna per tali reati.

Questo automatismo va censurato in quanto non ragionevole né proporzionato, al punto da contrastare con  il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della nostra Costituzione

Ora, dopo pochi mesi, la Corte è giunta alla decisione che questo automatismo va censurato in quanto non ragionevole né proporzionato, al punto da contrastare con  il principio di uguaglianza sancito dall’art.3 della nostra Costituzione. Questo principio-cardine della Repubblica riveste infatti un doppio significato: da un lato, in  situazioni eguali il trattamento delle persone dinnanzi alla legge dev’essere uguale; dall’altro, quando questa parità di situazioni manca , il trattamento va differenziato proprio per evitare conseguenze penalizzanti per coloro che versano in condizioni meno favorite.

Nella motivazione della recentissima sentenza della Corte, almeno tre sono gli argomenti che meritano di essere qui ricordati. In primo luogo,  sia il piccolo spaccio di droga leggera che la vendita di prodotti contraffatti – cui i due stranieri erano stati condannati – costituiscono infrazioni minori che non giustificano la presunzione assoluta di pericolosità posta dal legislatore in capo a chi le ha commesse. Non a caso, nella successiva procedura di emersione del lavoro irregolare[3], anche a fronte di simili condanne il rilascio del permesso di lavoro è ammesso se l’autorità ammnistrativa, con valutazione caso per  caso, ritenga che non sussistono pericoli per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato. Infine  costituisce un dato di esperienza che a fronte di violazioni lievi – tanto più se lontane nel tempo, come le due sopra indicate – ben può seguire un virtuoso percorso di integrazione sociale da parte del condannato tale da smentire definitivamente il giudizio assoluto di pericolosità imposto ex ante dalle norme oggetto di censura.

La Corte costituzionale ribadisce inoltre il consolidato orientamento di sfavore nei confronti di  automatismi che proprio nella materia  dell’immigrazione possono incidere  senza equilibrio sui diritti fondamentali degli stranieri. Non solo, ma essa conferma la propria  sintonia con la Corte europea dei diritti dell’uomo che a partire dal 2006  ha preso ad individuare i criteri che soli consentono di stabilire se in una società democratica l’allontanamento di uno straniero condannato sia davvero necessaria e proporzionata  per la sicurezza pubblica (..), per la difesa dell’ordine (e) la prevenzione dei reati. Lo impone l’art.8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo , che garabtisce ad ogni persona (cittadino e non) il rispetto della sua vita privata e familiare.   

La conclusione della Corte è dunque netta: nel caso dei due non gravi reati in questione non c‘è (più) alcuno spazio per l’automatico diniego del rinnovo del permesso in forza della scelta astratta e generale fatta dalla legge. Tocca invece all’autorità ammnistrativa procedere in concreto a valutare se il richiedente sia da considerare pericoloso.

Un passo in avanti per considerare lo straniero come persona (quale individuo con la propria storia) e non come semplice elemento dell’immigrazione (quale indistinto fenomeno).


[1] Corte costituzionale, sent. n.88 del maggio 2023

[2] Articoli 4 co.3 e 5. co. Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286

[3] Legge 3 agosto 2009, n. 102

Testo di Alberto Perduca

Foto di Tingey Injury Law Firm su Unsplash

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