I tagli economici dei Decreti sicurezza hanno impedito in molti centri la presenza di mediatori culturali, psicologi, formatori professionali, mettendo gravemente a rischio l’integrazione – ActionAid-Francesco Bellina / Cesura
I Decreti sicurezza del primo governo Conte hanno penalizzato l’integrazione scaraventato nell’irregolarità decine di migliaia di richiedenti asilo, infatti nel 2019 sono stati oltre 46 mila i posti cancellati nel circuito dell’accoglienza e di questi 15 mila nelle piccole strutture diffuse sul territorio.
Un articolo di pubblicato da Avvenire
Ora c’è la controprova. I cosiddetti Decreti sicurezza del primo governo Conte hanno penalizzato l’integrazione, colpito i modelli di accoglienza virtuosi, scaraventato nell’irregolarità decine di migliaia di richiedenti asilo. Nel 2019 infatti sono stati oltre 46 mila i posti cancellati nel circuito dell’accoglienza. Di questi, 15 mila nelle strutture piccole diffuse sul territorio. Se nel 2018 più di un terzo dei comuni ospitava centri, l’anno dopo la percentuale era calata a meno di un quarto. Il taglio della quota per ospite, poi, da 35 a 27 euro, ha ridotto l’investimento sull’integrazione, a partire dalla lingua. È il quadro che emerge dal rapporto Una mappa dell’accoglienza – Centri d’Italia 2021, realizzato da Openpolis e ActionAid, che sarà presentato dopodomani.
Il dossier – che Avvenire è in grado di anticipare – offre la prima mappatura dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) gestiti dalle prefetture in Italia, nel corso del 2019, con dati ufficiali a livello provinciale e comunale, diversi dalle aggregazioni predisposte dal ministero dell’Interno. «Informazioni importanti e necessarie per un monitoraggio costante del sistema di accoglienza», scrivono gli analisti delle due ong. «Il Viminale però – affermano i ricercatori – continua a negare informazioni essenziali sulle attività di monitoraggio della gestione dei centri di accoglienza, svolte da ministero dell’Interno e prefetture». Per questo ActionAid e Openpolis domani saranno in udienza al Tar del Lazio «per rivendicare il diritto a conoscere informazioni fondamentali per poter valutare le politiche in base agli effetti che producono».
Qual è l’obiettivo della ricerca? «Verificare quali controlli vengano effettuati e con quale frequenza, quali violazioni siano state riscontrate e di quale gravità», spiega Vittorio Alvino di Openpolis. «Quello che chiediamo al nuovo governo è di superare l’approccio emergenziale – afferma Fabrizio Coresi di ActionAid – per mettere da parte le strumentalizzazioni, orientando le scelte in ambito migratorio. E fare davvero dell’accoglienza pubblica e diffusa il sistema ordinario e principale, che è per le persone ospitate un diritto e per i territori ospitanti un’opportunità».
I numeri dunque raccontano una realtà diversa dall’”invasione” sbandierata da certa propaganda ansiogena. La quota media di richiedenti asilo nei comuni con centri di accoglienza, in rapporto ai residenti, è dello 0,2%. Sicuramente maggiore l’impatto dei mega-centri. Ma il Conte I perseguiva la chiusura proprio delle piccole strutture, quelle a basso “impatto sociale”, che favoriscono l’integrazione degli ospiti nelle comunità locali. Il numero di comuni che ospitava strutture di accoglienza è diminuito in un anno, da 2.691 (il 33,8 dei comuni italiani) a 1.822 (il 23%), con un taglio del 32,3%.
I tagli economici dei Decreti sicurezza hanno impedito in molti centri la presenza di mediatori culturali, psicologi, formatori professionali, mettendo gravemente a rischio l’integrazione – ActionAid-Francesco Bellina / Cesura
In un anno il numero di strutture di accoglienza è calato da 8.145 a 5.482. E a chiudere i battenti sono state soprattutto quelle con pochi ospiti, massimo 20: ben 15.482 posti in meno su 49.487. Nei centri medi c’è stata una riduzione di 11.619 posti, di 14.502 in quelli grandi, di 4.748 nei centri molto grandi. Un colpo di scure che in un anno ha fatto scomparire 46.351 posti: da 107.463 a 67.036. Non va dimenticato che gli stranieri espulsi dal circuito di accoglienza, come i titolari di protezione umanitaria, dopo la cancellazione di questo status, non sono stati rimpatriati, ma trasformati di fatto in irregolari.
A chiudere molti centri piccoli è stato il taglio delle quote per il mantenimento: da 35 a 27 euro al giorno. Meno pesante il taglio per i grandi centri, da 35 a 29 euro, sopravvissuti grazie a economie di scala che abbattono i costi. L’apparente risparmio che ha colpito i percorsi di integrazione (lingua, formazione al lavoro) però «si traduce in un costo netto in parte quantificato dall’Anci con un rincaro annuo di 280 milioni per gli enti locali».