di Daniela Garavini
Oulx, sabato 17 settembre 2022
La partenza è alle 8,30 da piazza Statuto a Torino. Il bus è pieno e non tutti si conoscono. I più giovani scelgono i posti dietro, l’atmosfera è distesa, quasi allegra.
La prima tappa è a Oulx al Rifugio Fraternità Massi, per incontrare gli operatori e i volontari che le gestiscono e i migranti che lì si fermano prima di affrontare la lunga tappa a piedi da Clavière (Italia) a Briançon (Francia). Don Luigi Chiampo, che ne è l’animatore e l’iniziatore spiega come è nato il progetto, che a questo punto, a due anni esatti dal suo inizio, raduna attorno a sé varie associazioni, gruppi di volontari, oltre a operatori stipendiati, il cui numero è cresciuto da 2 iniziali ai 10 attuali, garantendo così l’apertura del rifugio per tutte le 24 ore e non solo nelle ore notturne come era inizialmente.
Gli oltre 15 mila migranti che nell’ultimo anno sono passati dal Rifugio sono cambiati nel corso del tempo. Se prima erano soprattutto giovani africani soli, che sbarcati nel sud Italia, si sono allontanati dai centri di accoglienza diretti verso parenti e amici in altri paesi d’Europa, oggi sono molte anche le famiglie, provenienti soprattutto dai paesi del Medio Oriente teatro di guerra, Siria, Iraq, Afghanistan, ma anche Pakistan e Iran. Arrivano a Oulx dopo l’odissea della rotta balcanica, spesso provati nel fisico e nell’animo, come racconta Federica Tarenghi, medico di Medu (Medici per i Diritti Umani), che gestisce l’ambulatorio e che si trova davanti persone che per mesi non hanno potuto vedere un dottore. Chi è malato o ferito e non può continuare subito il viaggio, può fermarsi per qualche giorno nelle strutture che il rifugio ha a disposizione grazie alla Croce Rossa e ad altre associazioni a Bussoleno e a Susa. La maggior parte però riparte, dopo aver dormito in un letto vero, essersi rifocillato con dei pasti caldi, spesso rivestito, soprattutto d’inverno, con abiti e calzature adatte alla montagna.
Chi proviene dall’Africa o dai paesi del golfo non conosce la montagna, non ha idea né dei pericoli né del clima, non conosce la neve e il freddo. E uno dei compiti dei volontari è spiegare, magari con l’aiuto del traduttore Google in assenza di una lingua comune, i rudimenti di una camminata in quota, spesso insistendo perché si dotino di scarponi e giacche a vento pesanti, perché i migranti preferirebbero viaggiare leggeri e con vestiti che non li facciano immediatamente riconoscere.
Noi poi il sentiero, o almeno il primo pezzo da Clavière a Monginevro lo abbiamo fatto, in un pomeriggio assolato di settembre, chiacchierando e scherzando tra di noi, fermandoci per delle brevi e significative letture, un tratto di poco più di un’ora di cammino, con alcune parti in forte pendenza. Immaginare di percorrerlo di notte, senza luce per non farsi scoprire, con bambini piccoli e persone stanche e provate, d’inverno con la neve alta, è tutta un’altra faccenda.
Da Monginevro, dove noi siamo tornati indietro, i migranti devono invece proseguire sempre a piedi per Briançon, con un lungo tratto ripido in discesa che di giorno e d’estate richiede circa due ore per essere percorso, ma di notte e d’inverno i tempi si allungano anche di molto. Anche perché fino a Briançon c’è sempre la possibilità di essere scoperti dalla polizia di frontiera francese e rimandati indietro. Di giorno il sentiero è pattugliato da soldati (li abbiamo incrociati anche noi) che possono segnalare la presenza di migranti alla polizia.
I migranti fermati sono portati nel posto di polizia di frontiera sulla strada appena fuori del paese verso l’Italia, dove, a seconda dell’ora in cui sono presi, possono restare da un’ora a una notte intera, prima di essere riportati aldilà del confine italiano, presi in carico dalla Croce Rossa e ricondotti a Oulx, al rifugio, dove tutte le sere qualcuno ritorna. Proveranno a ripartire il giorno dopo, o quello dopo ancora e, prima o poi, passano.
Martina Cociglio, operatrice legale di Diaconia Valdese, racconta come la situazione al confine sia sul filo dell’illegalità da parte francese. La convenzione di Schengen che consente il libero passaggio delle persone attraverso le frontiere europee può infatti essere sospesa, ma la sospensione deve essere limitata a sei mesi, può essere rinnovata ma non superare i due anni. Invece, sul confine franco-italiano il passaggio delle persone non è più libero da anni. Chi cerca di passare in treno o in bus subisce controlli di frontiera a Bardonecchia o all’imbocco della galleria del Frejus e chi non ha i documenti in ordine, magari perché il permesso di soggiorno non è ancora rinnovato e dispone solo della ricevuta rilasciata da una questura italiana, viene respinto, a meno che non siano minori non accompagnati per i quali invece è possibile restare in Francia. Tutti gli altri che non hanno i documenti in regola devono attraversare la frontiera a piedi, via assai più ardua, ma che dà maggiori possibilità di successo. Anche viaggiare in macchina è una lotteria, sui può infatti essere fermati per controlli. La conclusione è che la frontiera costituisce una barriera non invalicabile, ma comunque difficile e che miete vittime ogni anno; il numero di chi la passa nonostante tutto cresce. E cresce di pari passo anche l’impegno e il lavoro della fondazione, delle associazioni e dei volontari che gestiscono il Rifugio Fraternità Massi, aiutando i migranti lungo il cammino. Un impegno che richiede presenza umana, risorse, donazioni anche sotto forma di beni materiali come vestiti, scarponi e abbigliamento da montagna.