E’ quasi assordante il fragore che la notizia del suicidio di Musa Balde ha generato in tutto il web nelle ultime 48 ore. Il 23enne si è tolto la vita impiccandosi con delle lenzuola dentro la sua cella, all’interno del Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Torino, di corso Brunelleschi.
Riportiamo qui l’articolo di Eleonora Sodini, pubblicato da Melting Pot martedì 25 maggio 2021, che ci parla di questa tragedia umana, un’altra prova del fallimento delle politiche migratorie italiane.

 

La Procura di Torino ha aperto delle indagini sul caso per far luce sulle motivazioni della morte di Musa Balde. Secondo il suo legale Gianluca Vitale, il ragazzo soffriva di gravi disturbi psichici a seguito dell’aggressione avvenuta il 9 maggio per mano di 3 uomini italiani, i quali lo hanno colpito a sprangate davanti a un supermercato di Ventimiglia dove Balde chiedeva l’elemosina. Un pestaggio che trova spiegazione, secondo i tre, nel tentativo da parte del ragazzo di derubare un telefono. Musa Balde, spiega Vitale, non ha mai avuto occasione di smentire le false accuse. Al contrario, a seguito dell’aggressione è stato spedito nel CPR torinese poiché era irregolarmente presente sul territorio italiano. Mauro Palma, il garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, afferma a diverse testate giornalistiche che Musa Balde non è stato trattenuto rispettando le sue vulnerabilità e fragilità [1].

Questa è la ricostruzione della vicenda. Ma chi scrive nutre la profonda convinzione che la storia di Musa Balde vada inserita nella più ampia cornice in cui ha preso forma. E’ una storia che quindi ci impone il dovere di interrogarci su quante violenze una persona può subire nel ventunesimo secolo, a partire dal totale abbandono da parte delle istituzioni italiane. Abbandono che inizia nel momento in cui Musa Balde arriva in Italia e non gli viene assegnato il giusto status giuridico per camminare a piede libero nel territorio nazionale – lo stesso piede libero di cui ancora oggi godono le tre persone che lo hanno giustiziato a colpi di spranghe per un tentato furto di cui non si ha prova alcuna – e che finisce nell’inferno dei CPR italiani.
E a proposito di CPR  italiani, non si può non inserire la storia di Musa Balde all’interno di quella violenza sistemica che il regime delle frontiere impone agli Stati-nazione, che fanno giocoforza con i corpi razzializzati e/o da razzializzare, utilizzando la “Linea del colore” come strumento principale di riproduzione delle relazioni di subalternità che devono necessariamente esistere all’interno del sistema capitalista.

Musa Balde è l’ennesima vittima di una strage di Stato iniziata moltissimi anni fa. E’ una morte indotta dal sistema carcerario italiano. I CPR  italiani sono da sempre oggetti di denunce per mancato rispetto dei diritti e della dignità umana e quello di Torino è forse uno dei peggiori, come spiega dettagliatamente il rapporto “No one is looking at us anymore [2] redatto in seguito al primo lockdown nazionale. In questo senso la vicenda di Musa Balde è l’ultima prova del fallimento delle politiche migratorie italiane da quando sono nate, nel 1998, con la legge Turco Napolitano che detta e declina i modi in cui le persone devono essere espulse e respinte dal territorio.
E’ l’ennesima prova che il diritto alla salute è un privilegio che non ci si può permettere se si è dietro le sbarre, specie se non si è cittadin* italian*.

Il video che riprende il suo pestaggio, che lo vede impotente prima e dopo essere deliberatamente preso a sprangate è straziante. Rabbia e dolore si confondono, e a ogni colpo corrisponde un grido, e a ogni grido fiamme di rabbia divampano sempre più intensamente nel petto di chi scrive.
A quante morti e pestaggi dobbiamo ancora assistere prima che le cose cambino davvero?

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