Dopo aver guidato la Fondazione Migrantes come direttore per circa 9 anni, monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, ci torna da presidente della Fondazione stessa e della Commissione Cei per le migrazioni. A eleggerlo è stata la 74.ma Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, conclusasi ieri. Un ruolo che consentirà ancora una volta a monsignor Perego, che succede a monsignor Guerino Di Tora, di ribadire la centralità della persona, come indicato dal direttore generale della Fondazione, don Gianni de Robertis, “a partire dal mondo migrante in tutte le sue dimensioni: immigrati, rifugiati, richiedenti asilo, rom, sinti e camminanti, circensi, lunaparkisti, gente dello spettacolo viaggiante e italiani residenti all’estero. Di “segnale di speranza e di apertura” parla padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, il Servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia. Il cammino della Chiesa deve incontrare il cammino dei migranti e di coloro che soffrono, è l’indicazione di monsignor Perego:
Ascolta l’intervista con monsignor Gian Carlo Perego
R. – Da una parte ringrazio i vescovi che, nella votazione, hanno espresso il desiderio che io ritornassi come presidente, al tempo stesso ho visto, in questo, un’attenzione dell’episcopato italiano al tema delle migrazioni come uno dei temi che stanno attraversando non solo l’opinione pubblica, ma anche la coscienza e la vita delle nostre comunità cristiane. Quindi, farmi ritornare, penso che sia stato anche un segno per dire di riprendere a rafforzare un cammino, che già era avvenuto, in un tempo nuovo, in un tempo in cui il cammino della Chiesa, che è un cammino sinodale, deve incontrare il cammino anche degli uomini, soprattutto degli uomini migranti che soffrono e che sono in una situazione ancora più difficile, come vediamo dalle immagini tutti i giorni.
Monsignor Perego, che momento è questo per le migrazioni? Con che cosa si confronteranno la Commissione e la Fondazione Migrantes?
R. – Sono diversi i temi. Anzitutto, c’è certamente il tema di un’Italia dove le migrazioni, checché se ne dica, si sono fermate. Siamo al livello degli anni ’70, con migrazioni che sono di circa sessantamila persone, mai vista una cosa di questo genere. Al tempo stesso è una Italia che vede ritornare un’emigrazione, quindi occorre interrogarsi su questi due fenomeni in maniera seria, anche perché sono due elementi, in uno dei Paesi che ha la più alta denatalità, che certamente faranno il futuro del nostro paese. Dall’altra parte, però, è un momento in cui abbiamo davanti agli occhi la ripresa degli sbarchi, che sono quattro volte meno rispetto al 2014-2015, quando arrivavano 150-170mila persone, oggi ne vediamo 35mila, che però segnalano un disinteresse a riprendere il discorso, soprattutto, di revisione di Dublino e di responsabilità comune dell’Europa, e su questo la Chiesa italiana è preoccupata, non si possono abbandonare le persone in mare, vedere morire delle persone. D’altra parte, però, è importante che si arrivi a dalle decisioni, da una parte, di redistribuzione dei migranti e dei richiedenti asilo su tutto il territorio europeo, dall’altra a una politica rinnovata con i Paesi al di là del Mediterraneo, in particolar modo, che non possono seguire ancora la linea di un accordo che è sostanzialmente stato un accordo di ignoranza e di rinnegamento dei problemi reali dei richiedenti asilo che provengono soprattutto dal Medio Oriente dal Corno d’Africa e dal Centrafrica.
Non si può, a questo punto, non andare con il pensiero alle ultime terribili, drammatiche, foto, che hanno fatto il giro del mondo, di questi bimbi vittime del mare, vittime del Mediterraneo, ma vittime, soprattutto, delle scellerate e disumane politiche europee …
R. – Sì, sono i morti della indecisione, sono i morti del rinvio, sono i morti di accordi che sono di deresponsabilizzazione. Queste parole pesano sulla coscienza dei cristiani e delle nostre comunità e, al tempo stesso, sulla coscienza politica dell’Europa. Occorre, quindi, uno scatto non solo di umanità, ma anche di politica, nel senso di come ce lo ricorda il Papa nella Fratelli tutti, nel capitolo V, una politica che sia attenta al rispetto della dignità della persona, della vita delle persone e che cerchi, effettivamente, di considerare ogni persona un fratello, quindi una politica che sia certamente di solidarietà e non, invece, di ignoranza di questi problemi.
Cei e Fondazione Migrantes saranno al fianco non solo dei migranti che arrivano in Italia per cercare pace, una vita sicura e dignitosa, ma anche accanto a tutto il mondo della mobilità umana, pensiamo al mondo dei circensi che oggi fatica a riprendere l’attività e a vivere del proprio lavoro …
R. – Sì, i mondi della mobilità a cui la Migrantes sta guardando oggi, oltre che ai volti dei richiedenti asilo e degli immigrati in Italia, delle diverse comunità, delle famiglie dei lavoratori e di chi cerca cittadinanza, sono quello dei nostri cittadini italiani che vanno all’estero. Penso soprattutto ai più giovani, che si trovano in una situazione di difficoltà in alcuni Paesi, come quella in cui si trovano gli italiani in Inghilterra da quando è uscita dall’Unione europea. Guarda poi anche a quegli altri piccoli mondi che hanno vissuto drammaticamente la realtà della pandemia, come il mondo dei circensi, dei fieranti e dello spettacolo viaggiante, che si sono ritrovati lontani dall’Italia, senza alcun aiuto, che hanno faticato a rientrare in Italia, che si sono trovati con i tendoni chiusi, con le attività e le attrazioni chiuse per oltre un anno con la vita fortemente segnata. Fortunatamente c’è stato un buon contributo da parte della Conferenza Episcopale Italiana, grazie all’8 per mille gestito da Migrantes e da Caritas a favore anche di queste imprese e di queste famiglie, circa 80mila persone. In questi giorni, durante l’Assemblea, si è parlato anche di Sinodo, certamente l’icona più bella del sinodo, che significa camminare insieme, è l’icona dei migranti e, quindi, credo che, anche dalla storia dei migranti, dalla loro esperienza, potrà venire un grosso contributo all’esperienza di una Chiesa in cammino, affinché la Chiesa sia in cammino.