Martedì 18 marzo pomeriggio, alla Biblioteca Civica Centrale di Torino, è stato presentato il libro: “Sono italiano, lo giuro” (edito da People). L’autore, Simohamed Kaabour, già mediatore culturale e ora insegnante di liceo e consigliere comunale a Genova,  ha  raccontato  la sua storia di migrante, ponendo le questione di cosa significa realmente la parola “integrazione” e quanto sia importante ottenere la cittadinanza italiana.  Ha moderato l’incontro Laura Fusca, esperta in comunicazione culturale  e formatrice certificata dell’ICPA,  International Centre for Policy Advocacy, organizzazione  internazionale no-profit che si occupa di politiche sociali.

Con ironia e con un velato accento genovese (tra l’altro tifa Sampdoria, pur avendo molti amici tifosi genoani,…), attraverso alcuni aneddoti ha ripercorso alcune vicende della sua vita. Ha così tentato una risposta, partendo dall’esperienza di bambino che, all’età di dieci anni, ha lasciato il Marocco per raggiungere i genitori a Genova. Per lui la migrazione è stata l’inizio di una trasformazione identitaria, i cui effetti si sono manifestati  nelle prove da affrontare prima e dopo il viaggio, nella vita quotidiana dentro e fuori la scuola. L’esperienza scolastica italiana gli ha dato modo di esprimere la sua creatività, anche artistica, e la sua immaginazione. Attraverso i colori giallo e verde si sono snodati  due suoi ricordi. Il suo disegno di un gorilla giallo viene bocciato ad un concorso di pittura in Marocco, perché non esiste in natura un gorilla giallo, ma la creatività deve andare oltre la realtà. L’episodio lo ha spronato a continuare ad immaginare altro, per superare senza avvilirsi i muri  da lui trovati nel vivere quotidiano. Il verde del suo passaporto marocchino non era lo stesso colore di quello dei paesi dell’Unione Europea, per cui non gli fu consentito il viaggio premio a Praga con gli altri compagni di liceo meritevoli, che avevano il documento di espatrio di colore tendente al granata. Questo racconto ha introdotto la riflessione di quanto alta è la perdita culturale di una società che impedisce ai suoi giovani di sognare e di viaggiare. Cosa serve formare, per anni con l’istruzione scolastica, un ragazzo che non ha ancora la cittadinanza italiana, per poi lasciarlo solo a se stesso al raggiungimento dei diciotto anni?

Kaabour si chiede: “Italiani si nasce o si diventa?”. La rapida evoluzione della società e le esperienze quotidiane hanno fatto sorgere non sono in lui, ma anche in molti altri,  questa  domanda, che inevitabilmente interroga e richiama la collettività al proprio senso civile e alle responsabilità che ne derivano. Per provare a rispondere, l’autore ha guardato al proprio percorso di vita, alle proprie scelte, ai sentimenti di appartenenza che si generano dentro chi – straniero e non –  abita oggi in Italia. Si tratta di argomenti molto attuali e dibattuti, che richiedono un confronto serio e non pregiudiziale, come quello avvenuto lo stesso mattino del 18 marzo all’Istituto Superiore Oscar Romero di Rivoli. Quattro classi di quinta hanno dialogato con lui, scoprendo che pensare, scrivere, esprimersi in italiano sono segni di un’appartenenza  e di un’identità che si manifestano condividendo valori e non tratti somatici.

[Stefano Passaggio, La Voce e il Tempo]

My Agile Privacy
Privacy and Consent by My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare. 

Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: