Come nella peggiore delle zone di guerra, Medici senza frontiere “è costretta a sospendere le attività in due centri di detenzione a Tripoli”. Con un drammatico comunicato l’organizzazione ha motivato la decisione denunciando “i ripetuti episodi di violenza contro migranti e rifugiati”. Una notizia che arriva il giorno dopo il grido d’aiuto delle cinque minorenni che da mesi vengono stuprate dai guardiani, anche dopo aver tentato il suicidio.
Le condizioni di vita nei centri restano spaventose. le centinaia di milioni spesi da Italia e Ue non servono neanche a sfamare i neonati. Una donna ha raccontato agli operatori di Msf “di essere così disperata da aver provato a dare la sua razione di cibo solido alla figlia di soli 5 giorni per evitare che morisse di fame”.
Beatrice Lau, capomissione di Medici senza frontiere in Libia non nasconde la frustrazione per “una decisione non facile da prendere perché significa che non saremo presenti lì dove sappiamo che le persone soffrono quotidianamente”. Ma i continui e violenti episodi “che causano gravi danni a migranti e rifugiati, nonché il rischio per la sicurezza del nostro personale, hanno raggiunto un livello che non siamo più in grado di accettare”. E fino a quando “la violenza non cesserà e le condizioni non miglioreranno – si legge in una nota -, Msf non potrà più fornire assistenza medico-umanitaria in queste strutture”.
Proprio quando nelle cancellerie europee si assicurava che con il nuovo governo libico sarebbero stati potenziati i diritti umani, le cose invece perfino peggioravano. “Da febbraio di quest’anno, maltrattamenti, abusi e violenze contro le persone detenute in questi centri di detenzione – spiegano gli operatori di Msf – sono aumentati costantemente”. Nell’arco di una sola settimana, le équipe sanitarie “hanno assistito in prima persona e ricevuto segnalazioni di almeno tre incidenti violenti che hanno provocato gravi danni fisici e psicologici”.
Appena cinque giorni fa, il 17 giugno, durante una visita al centro di detenzione di Al-Mabani, dove si stima che almeno 2.000 persone siano detenute in celle sovraffollate, “l’équipe di MSF ha assistito ad atti di violenza perpetrati da parte degli addetti alla sicurezza, inclusa l’indiscriminata violenza contro alcune persone colpite mentre lasciavano le loro celle per essere visitate dagli operatori sanitari di Msf”.
La notte precedente erano giunte notizie di crescenti tensioni, culminate “in una violenza di massa, in seguito alla quale sia i migranti e i rifugiati che gli addetti alla sicurezza hanno riportato diverse ferite”. I volontari hanno trattato 19 pazienti con lesioni da pestaggio, incluse fratture, ferite da taglio, abrasioni e traumi da corpo contundente. “In seguito alle ferite riportate alle caviglie, un minore non accompagnato non è più in grado di camminare. Altri hanno raccontato di aver subito abusi fisici e verbali da parte degli addetti alla sicurezza dei centri”.
Pochi giorni prima, il 13 giugno, sono state di nuovo imbracciate armi automatiche “che hanno ferito alcune persone detenute nel centro di detenzione Abu Salim causando numerose vittime”. Per i sette giorni successivi è stato impedito all’equipe di Msf di mettere piede nella prigione, nonostante vi fossero decine di persone bisognose di cure. Proprio le ferite riportate sarebbero state prove schiaccianti contro i guardiani.
“Migranti e rifugiati – spiega Msf – ricevono quantità insufficienti di cibo: uno o due minimi pasti al giorno, di solito un pezzo di pane e formaggio o un piatto di pasta da condividere con gli altri”. I medici hanno osservato “come a volte le persone usino farmaci per gestire la fame. La mancanza di cibo nutriente ha causato problemi anche alle donne che non riescono a produrre latte materno a sufficienza per allattare i propri figli”.
Gli operatori sul posto sono testimoni diretti dell’orrore: “Uomini, donne e bambini vulnerabili, già detenuti in condizioni disperate, soggetti a ulteriori abusi e a rischi potenzialmente letali”, racconta Ellen van der Velden, responsabile delle operazioni di Msf in Libia. Che ha un messaggio specialemente per Roma e Bruxelles: “Nessuna persona intercettata in mare dalla Guardia costiera libica, finanziata dall’UE, dovrebbe essere costretta a tornare nei centri di detenzione in Libia. Si deve porre fine alla violenza nei centri di detenzione e procedere con l’evacuazione di tutte le persone costrette a viverci in condizioni disumane”.
Intanto è stata lanciata su “Change.org” una petizione promossa da “Dalla Stessa Parte”, un gruppo di azione politica nato dall’appello di Livia Turco e Alessandra Bocchetti, dopo l‘approfondimento di “Avvenire” dedicato alle minorenni violentate dagli agenti. Viene chiesto al governo italiano di non rinnovare il memorandum d’Intesa con la Libia e proteggere immediatamente le donne profughe.