L’ultimo arresto eccellente è quello di Ghannouchi, leader del partito islamista, mentre la crisi economica continua a colpire la società civile e il presidente Saied indica come capro espiatorio i migranti subsahariani.

Per approfondire, riprendiamo un articolo pubblicato sul sito della rivista Nigrizia, integrato da altre notizie.

In Tunisia non si ferma la repressione del dissenso politico. L’ultimo arresto eccellente lo scorso 18 aprile è quello di Rached Ghannouchi, 81enne leader del partito islamista Ennahdha, arrestato dopo una lunga perquisizione della polizia nella sua abitazione, avvenuta dopo il tramonto, quando la famiglia si accingeva a rompere il digiuno del Ramadan. L’ex presidente del parlamento e capo di Ennahdha è il principale critico del presidente Kais Saied.

L’arresto è avvenuto su mandato dei pubblici ministeri dell’antiterrorismo nell’ambito di un’indagine su recenti commenti “provocatori”, fa sapere l’agenzia di stampa ufficiale tunisina Tap, senza fornire ulteriori dettagli.

Ghannouchi è stato arrestato più volte nell’ultimo anno, interrogato e in seguito rilasciato, ma questa volta i suoi sostenitori parlano di un’azione più seria. La figlia Soumaya ha annunciato su FaceBook che suo padre ha deciso di boicottare gli interrogatori, “rifiutandosi di impegnarsi nel gioco dei processi politici e delle sessioni interminabili che hanno l’obiettivo di portare all’esaurimento psicologico e fisico”. Soumaya ha spiegato che la decisione del padre è arrivata dopo oltre 120 ore di interrogatori in merito a casi “fabbricati ad hoc e senza fondamento”. Ghannouchi ha iniziato anche uno sciopero della fame.

Secondo alcuni media locali, Ghannouchi sarebbe finito in carcere per i contenuti di un video circolante online in cui avrebbe affermato che gli sforzi del presidente per “sradicare” l’opposizione islamista minacciano di scatenare una guerra civile.

Dopo l’arresto la polizia ha operato un blitz nel quartier generale di Ennahdha arrestando quattro leader del movimento che avevano organizzato un convegno sulla libertà dei “detenuti politici”.  Le autorità hanno anche chiuso le sedi e gli uffici di proprietà del partito in tutto il territorio nazionale, vietando ai membri di tenere incontri. 

Il vicepresidente di Ennahdha ed ex primo ministro, Ali Laarayedh, è stato arrestato nel dicembre 2022 con accuse simili a quelle contro Ghannouchi. A febbraio è toccato a Noureddine Bhiri, uno dei principali esponenti del partito, in manette dopo un’irruzione della polizia nella sua casa, così come avvenuto per il direttore della popolare stazione radiofonica Mosaique FM, Noureddine Boutar.

Negli ultimi mesi le autorità tunisine hanno compiuto una lunga serie di arresti nei confronti di critici di alto profilo di Kais Saied, tra cui politici, giudici, sindacalisti, imprenditori e giornalisti. Una feroce repressione che ha costretto molti a fuggire all’estero.

Una deriva autoritaria contro la quale si è pronunciato a marzo il Parlamento europeo con una risoluzione di condanna che esorta le autorità «a rilasciare tutte le persone detenute arbitrariamente, a rispettare la libertà di espressione e associazione e i diritti dei lavoratori», chiedendo a Saied di porre fine alla «repressione in corso contro la società civile» e alla «strumentalizzazione della terribile situazione socio-economica della Tunisia per invertire la storica transizione democratica».

Eletto nel 2019, Saied ha assunto i “pieni poteri” nel luglio 2021, quando ha chiuso il parlamento, ha destituito il governo ed è passato a governare per decreto, prendendo il controllo della magistratura. Ha poi riscritto la Costituzione affermando che le sue mosse radicali erano necessarie per salvare il paese dal caos.

La crisi sociale ed economica si è invece di molto aggravata, portando la popolazione alla disperazione. Chi può tenta la fuga via mare, altri restano per portare avanti la protesta contro il regime e la brutalità delle forze di sicurezza. Come il 35enne calciatore professionista Nizar Issaoui che il 10 aprile si è dato fuoco davanti alla sede della polizia di Hafouz, nel governatorato centrale di Kairouan, dove si era recato per denunciare un aumento fraudolento dei prezzi della frutta, finendo per essere accusato di terrorismo.

Un gesto quello di Issaoui, morto pochi giorni dopo, che ricorda quello di Mohamed Bouazizi, giovane venditore ambulante che il 17 dicembre del 2010 si diede fuoco per protesta, innescando la “Rivoluzione dei gelsomini” e la caduta del dittatore Ben Ali.

Lo scorso febbraio, inoltre, il presidente tunisino Kais Saied aveva chiesto «misure urgenti» contro l’immigrazione irregolare di cittadini provenienti dall’Africa subsahariana, affermando che la loro presenza in Tunisia è fonte di «violenza e crimini» e che il progetto è quello di modificare la composizione demografica del paese. Con il risultato di scatenare la violenza contro i migranti neri, farli licenziare dal lavoro e sfrattare dalle loro abitazioni, con code di disperati alle ambasciate del Mali e della Costa d’Avorio e un aumento delle partenza via mare verso l’Italia

Questa è la Tunisia con cui il governo italiano fa accordi lautamente finanziati, fingendo di non vedere la disperazione dei giovani privati di un presente e di un futuro, e le gravi violazioni dei diritti umani e delle regole democratiche operate dal regime.  

Fonte del testo: Nigrizia | Foto: rawpixel.com

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