E’ trascorso un anno dall’inizio del conflitto in Ucraina: è tempo di giustizia. La riflessione di Alberto Perduca.
All’inizio di febbraio 2023, in occasione dell’adozione del decimo pacchetto di sanzioni economiche Ue nei confronti della Russia, la Presidente della Commissione europea da Bruxelles ha ricordato che quel Paese dovrà pagare per le distruzioni causate ed il sangue versato in Ucraina. L’Europa, ha assicurato Ursula von der Leyen, intende “ritenere la Russia responsabile per i suoi crimini, incluso quello di aggressione”. Neppure dieci giorni dopo è stata la volta di Kamala Harris alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco. Nell’occasione la vice Presidente USA, rivoltasi direttamente agli esecutori materiali di questi crimini, e “ai loro superiori che ne sono complici”, li ha avvertiti che saranno “chiamati a risponderne”.
Le dichiarazioni delle due rappresentanti di Europa ed America sono seguite agli ormai innumerevoli resoconti che molte organizzazioni hanno diffuso sulle atrocità commesse nel corso del primo anno dell’invasione. Tra gli ultimi vale citare il rapporto, pubblicato a metà 0ttobre 2022, da un Commissione Indipendente delle Nazioni Unite, secondo cui vi è ragionevole motivo per ritenere che crimini di guerra e violazioni gravi del diritto umanitario siano stati commessi in gran parte dalle forze armate russe. Vi si legge in particolare che “(…) l’impatto di queste violazioni sulla popolazione civile in Ucraina è immenso. Le perdite di vite si contano a migliaia. La distruzione delle infrastrutture è devastante (…). Nel corso degli attacchi armi esplosive vengono usate indiscriminatamente in aree abitate e degli assalti sono condotti contro civili in fuga (…). Documentati anche i casi di “esecuzioni sommarie, sequestri illegali, torture, maltrattamenti, violenze sessuali” perpetrati dagli occupanti.
In termini parimenti drammatici si è espresso il Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa nel memorandum presentato a metà luglio 2022. Anche da questo documento si apprende che “l’attacco della Federazione Russa ha provocato violazioni gravi e massicce violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, con degli effetti disastrosi sull’esercizio di tutti i diritti umani da parte della popolazione civile. Qui, di nuovo, vengono evocati, tra gli altri, i casi di esecuzioni arbitrarie, torture, maltrattamenti, violenze sessuali di genere, detenzioni illegali e segrete, sparizioni forzate, violazioni al diritto di proprietà, distruzioni massicce di infrastrutture civili – tra cui ospedali e scuole, interruzioni di fornitura di gas , elettricità e cibo.
E’ indubbio che i fatti documentati su vasta scala in Ucraina costituiscono dei crimini di guerra e contro l’umanità.
E’ indubbio che questi fatti avvenuti su vasta scala costituiscono dei crimini di guerra e contro l’umanità. Come tali, se confermati sul piano giudiziario, essi dovranno comportare pesanti condanne in capo a coloro che se ne sono resi responsabili, per averli materialmente eseguiti, ordinati od anche solo tollerati. Non a caso, sin dalle prime settimane dall’aggressione russa ben tre sistemi di giustizia penale si sono attivati per raccogliere le prove necessarie a giudicare e punire i colpevoli. Questo pronto e simultaneo intervento plurale – talora qualificato di “giustizia solidale” non registra precedenti nella storia.
La prima a muoversi è stata la giustizia dell’Ucraina con una popolazione ed un territorio che continuano a subire sofferenze umane e danni materiali enormi. Incontrovertibile è la legittimità di questo Stato sovrano – cui spetta la tutela di coloro che lo abitano – ad opporsi al disastro anche con gli strumenti della giustizia, perseguendo e punendo coloro che lo hanno provocato. Rimane difficilissima, per Kyiv, la sfida perché si tratta non solo di agire con efficacia – avendo subito la demolizione in parte importante di mezzi e strutture distrutti – ma anche in modo giusto. I crimini di parte avversa andranno cioè perseguiti senza cedere a pulsioni di vendetta e nel contempo senza trascurare quelli del proprio campo. Ne sono in gioco la credibilità del Paese quale Stato di diritto e la stessa prospettiva di sua integrazione europea.
Anche la Corte Penale Internazionale è intervenuta sul campo con investigatori del Procuratore, cui spetta di indagare per i crimini di genocidio, di guerra e contro l’umanità , di incriminarne i presunti responsabili e chiedere che costoro vengano processati e quindi condannati nel caso di prove certe. Ed infine, non meno importante è stata l’apertura di inchieste da parte di taluni Stati – tra cui i Paesi baltici, ma anche Svezia Polonia, Germania, Polonia, Slovacchia, Svizzera e Spagna – in forza del cd. principio di “giurisdizione universale”, che legittima le giustizie degli Stati che lo riconoscono a procedere per crimini umanitari anche se commessi senza collegamento alcuno con il loro territorio.
Ad un anno ormai dall’aggressione, l’attesa è che questo preliminare – ed assolutamente cruciale – impegno investigativo possa presto aprire la strada ad incriminazioni, processi e condanne – allorché fondate. E’ tempo che la giustizia, nel rispetto dei diritti fondamentali e con le procedure che le sono proprie, inizi ad accertare le colpe degli autori dei crimini e i torti delle vittime. Senza troppe illusioni sulla pace perché non è per nulla scontato, oggi, che rendere giustizia in Ucraina faciliterà la fine del conflitto. Ma almeno manterrà concreta la speranza che in guerra non qualsiasi brutalità è destinata a rimanere totalmente impunita.
Testo di Alberto Perduca
Foto di Max Kukurudziak su Unsplash